LA STRAORDINARIA ESPANSIONE DEL PENTECOSTALISMO GLOBALE E LE SUE DUE NARRATIVE
Secondo le statistiche più autorevoli, il Pentecostalismo sta vivendo una fase di straordinaria espansione a livello mondiale. Tuttavia, dietro i numeri si nasconde un movimento complesso ed eterogeneo, a proposito del quale esistono narrative apparentemente inconciliabili.
Il fascino dei numeri
Nello studio del Pentecostalismo i numeri sono particolarmente importanti. Non c'è quasi articolo o libro che, per descrivere il movimento, non faccia riferimento alle cifre impressionanti della sua demografia. Secondo il World Christian Database, la più grande istituzione per il conteggio dei cristiani nel mondo, 35.000 nuovi credenti si convertono ogni giorno alla fede pentecostale. Nel 2020, secondo la stessa istituzione, il numero di pentecostali nel mondo superava i 620 milioni e nel 2050 sarà di oltre un miliardo. Ciò significa che, in meno di trent'anni, un cristiano su tre sarà un cristiano pentecostale.
Oltre alla grandezza dei numeri, ciò che stupisce è la velocità dell’espansione. Nonostante sia un movimento religioso giovane, la cui origine risale, secondo la tradizione, al 1906, il Pentecostalismo si è affermato come la religione con la più rapida crescita a livello globale.
Le proporzioni del fenomeno sono particolarmente impressionanti in Africa e in America Latina. In Paesi come la Nigeria, il Sudafrica, il Messico o il Brasile, la fondazione di nuove chiese è incessante ed il loro numero raggiunge o supera il numero delle chiese cattoliche ed evangeliche tradizionali.
Guardare al Pentecostalismo attraverso i numeri ha portato come conseguenza la diffusione dell’idea di un movimento religioso trionfante, destinato a vincere una presunta competizione per il controllo del cristianesimo. Molti teologi e sociologi, proprio sulla base dell'autorità dei numeri, parlano apertamente di una nuova Riforma, più potente e drastica della prima, che starebbe ‘pentecostalizzando’ il panorama religioso globale.
In questo clima di ‘trionfalismo demografico’, si tende a dimenticare che i numeri e le statistiche, nonostante la loro apparente oggettività, sono sempre carichi di ideologia e ciò può rendere difficile la comprensione del fenomeno che si vuole descrivere. Nel caso del Pentecostalismo, guardare acriticamente ai numeri ha avuto la conseguenza di considerare il Pentecostalismo come un movimento unitario, con caratteristiche dottrinali omogenee e un modello di sviluppo coerente in tutto il mondo. Questo modo di vedere il Pentecostalismo è chiamato ‘Pentecostalismo Globale’.
La duplice narrativa sopra il Pentecostalismo Globale
Nonostante le statistiche, l'immagine di coerenza trasmessa dal modello del Pentecostalismo Globale è fuorviante. Dietro i numeri si nasconde un movimento in continua evoluzione, in cui convivono realtà eterogenee e apparentemente contraddittorie. Le statistiche, nonostante lo stupore e l'idea di unità che producono, non possono nascondere le molte differenze che esistono sia nel modo in cui il Pentecostalismo viene inteso da un punto di vista dottrinale, sia nel modo in cui viene vissuto da un punto di vista fenomenologico. Non esiste una definizione unanime di Pentecostalismo, né un accordo su cosa significhi esattamente essere un cristiano pentecostale. Il modo in cui un pastore di una denominazione pentecostale storica definisce la propria fede è infatti molto diverso dal modo in cui lo fa un pastore di una chiesa indipendente di recente costituzione. Anche il modo in cui i credenti vivono la loro fede in un contesto, ad esempio, africano, è assai diverso da quello in cui viene vissuta in un contesto nordamericano, asiatico o europeo. Questo avviene perché la religione pentecostale non ha un apparato dogmatico né tantomeno una struttura gerarchica definita. È un fenomeno religioso estremamente fluido e flessibile, sia nella dottrina che nell'organizzazione, e questo rende più appropriato definirlo un movimento religioso, in continua evoluzione, piuttosto che una religione codificata. L'uso del termine ‘movimento’ vuole proprio sottolineare la sua intrinseca capacità di evolversi e la sua flessibilità, grazie alla quale il Pentecostalismo è stato in grado di adattarsi a contesti molto diversi in tempi molto brevi.
Proprio questa flessibilità, tuttavia, genera incertezze e perplessità quando si cerca di descrivere il movimento. Sia nelle pubblicazioni specializzate che nella stampa più divulgativa, si evidenzia una complessità rappresentativa, che, aggiungendosi a quella definitoria e fenomenologica rende difficoltosa la comprensione. Tale complessità si manifesta nella presenza di una doppia narrativa.
Da un lato c'è quella che possiamo definire la ‘narrativa del successo’. Essa presenta il Pentecostalismo come un movimento di grande influenza non solo religiosa, ma anche sociale, economica e persino politica. È una narrativa che si concentra soprattutto sul ruolo delle ricche ‘mega-chiese’, americane ma non solo, mostrando le ampie risorse economiche e umane a loro disposizione e la loro perfetta integrazione nel sistema economico globale. Nelle faraoniche strutture di queste chiese si riuniscono migliaia di fedeli, attratti dalle capacità comunicative di pastori-imprenditori multimilionari, la cui influenza raggiunge molti leader politici. In questa narrativa, il Pentecostalismo cerca la massima visibilità possibile, spinto dall'obiettivo della riconquista spirituale e materiale di un Occidente definito secolarizzato e corrotto.
A seconda di chi la ascolta, la ‘narrativa trionfalistica’ è in grado di generare un sentimento di ammirazione o di diffidenza. Molte persone si sentono attratte dalla sua insistenza sul successo e sul benessere materiale, spesso sintetizzati nello slogan della ‘Teologia della Prosperità’. Tuttavia, per alcuni non risulta facile conciliare l’insistenza sulla materialità con un'idea più spirituale di religione.
Completamente opposta alla ‘narrativa del successo’ è quella che si possiamo definire come la ‘narrativa della marginalità’. Essa racconta un Pentecostalismo invisibile, le cui chiese occupano edifici semi-abbandonati nelle periferie delle grandi città. Questa narrativa descrive il Pentecostalismo come un movimento che non cerca di integrarsi nella società, ma mira piuttosto a separarsi da essa. Da essa emerge l'immagine di un movimento più interessato alla difesa delle minoranze che alla partecipazione alle dinamiche socio-culturali ed economiche globali. Le sue chiese sono descritte metaforicamente come ‘rifugi’ per coloro che soffrono di una qualche forma di emarginazione sociale. Persone che, al sentirsi escluse dal mondo, cercano un qualche tipo di riparazione.
Anche la ‘narrativa della marginalità’ genera sentimenti contrastanti. Per alcuni è una ‘narrativa di resilienza’, che rafforza la autostima, alimentando la difesa identitaria e la solidarietà comunitaria. Per altri, al contrario, essa genera marginalità e rifiuto, per il fatto che viene collegata all’idea di povertà e fallimento.
Le due narrative coesistono allo stesso tempo, il che finisce per produrre una complessità rappresentativa che rende difficile una comprensione equilibrata del movimento.
Quale delle due narrative è quella corretta?
La risposta è che, sebbene contraddittorie, sono entrambe vere e false allo stesso tempo. Entrambe sono figlie del modello interpretativo del Pentecostalismo Globale, di cui rappresentano i due volti. L’una non può esistere senza l'altra ed entrambe, da sole, sono incomplete.
Una religiosità marginale, ma molto vistosa
Dietro all'esistenza di due narrative apparentemente opposte ci sono motivazioni storiche e ideologiche, per capire le quali è necessario risalire alle origini del movimento pentecostale.
Secondo la versione più accreditata, il movimento pentecostale nacque nella primavera del 1906 a Los Angeles, quando un gruppo di persone afroamericane iniziò a riunirsi in un modesto edificio in Azusa Street, una via situata in un quartiere povero della città, per ascoltare la predicazione del pastore nero William Seymour (1870-1922). Sia Seymour che quasi tutti i suoi seguaci erano figli e figlie di ex schiavi, quindi persone di bassa condizione sociale, emarginate economicamente e razzialmente. Nelle loro riunioni pregavano e lodavano Dio attraverso forme di espressione molto vistose, mescolando per molte ore invocazioni, grida, pianti e movimenti corporali incontrollati. Affermavano di essere posseduti dallo spirito di Dio, che conferiva loro il potere di parlare in lingue sconosciute (glossolalia), guarire malattie ed espellere gli spiriti maligni.
Una religiosità così vistosa non poteva passare inosservata e perciò, nonostante fossero persone marginalizzate, Seymour e i suoi seguaci attirarono rapidamente l'attenzione della stampa locale e nazionale. In pochi giorni, la notizia di quelle persone incolte che parlavano lingue sconosciute e pregavano con modalità che agli altri apparivano esagerate, si diffuse rapidamente in tutti gli Stati Uniti. Tuttavia, allo stesso tempo in cui la nuova religione attirava l'attenzione di migliaia di persone, il suo interesse verso coloro che vivevano ai margini della società alimentava pregiudizi e diffidenza. Nonostante il clamore e l'interesse che suscitava, o forse proprio a causa di ciò, il Pentecostalismo fu considerato una setta e per molti anni la narrativa prevalente è stata quella di un movimento marginale per marginalizzati, rifugio di disadattati e perdenti.
Verso il cambio di narrativa
Il predominio della 'narrativa della marginalità' persistette fino agli anni Ottanta del secolo scorso, quando si verificò un'inversione dell'equilibrio di potere tra le due narrative. Si trattò di un vero cambio di paradigma interpretativo e fu conseguenza della convergenza strategica di tre progetti differenti, di ordine statistico, teologico e storico.
Il protagonista principale di questo cambiamento fu David B. Barrett (1927-2011), un ingegnere aerospaziale che nel 1957 era diventato missionario in Kenya con la Società Missionaria Anglicana. Da allora Barrett si era dedicato a viaggiare per raccogliere dati sulla presenza delle missioni cristiane in tutto il pianeta e nel 1982, in collaborazione con Todd Johnson, aveva pubblicato la prima edizione della World Christian Encyclopedia. A partire dal 1988 Barrett diffuse una classificazione del Pentecostalismo in tre ondate successive: quella del Pentecostalismo classico, direttamente collegata alla nascita americana del 1906, quella dei 'carismatici', che includeva pentecostali che agivano all'interno delle denominazioni cattoliche e protestanti, e, infine, le cosiddette 'reti carismatiche indipendenti'. Questa terza ondata si riferiva a tutte le altre realtà religiose sparse per il pianeta che, nelle sue statistiche, Barrett collegava, in un modo o nell'altro, al Pentecostalismo. Sarà questo terzo gruppo che produrrà la cosiddetta 'esplosione pentecostale'. Grazie alla sua classificazione, il movimento pentecostale mondiale passò da 332 milioni di praticanti nel 1988 a 523 milioni nel 2000. L'insieme delle tre ondate fu denominato da Barrett 'la rinnovazione pentecostale e carismatica dello Spirito Santo'. A questo sistema di classificazione e interpretazione sarà dato, nei decenni successivi, il nome di 'Pentecostalismo Globale', dove la parola 'Globale' oscilla tra un'accezione descrittiva e una prescrittiva/interpretativa.
Secondo il modello del Pentecostalismo Globale, tutte le manifestazioni pentecostali nel mondo si diffondevano a partire da un'origine comune, il famoso ‘risveglio di Azusa Street’, e, sebbene si organizzassero in modo diversificato secondo i contesti locali, presentavano lo stesso modello di sviluppo e la stessa coerenza strutturale. Attraverso statistiche e cronologie standard, si imponeva una visione 'evoluzionista' del movimento, secondo la quale ogni nuova manifestazione religiosa che non poteva essere collegata alle denominazioni tradizionali e che enfatizzava l'empowerment attraverso lo Spirito, indipendentemente dal contesto in cui si sviluppava, veniva considerata de facto un'evoluzione adattativa del Pentecostalismo.
Dietro l'affermazione del Pentecostalismo Globale c'erano le idee di alcuni teologi americani che, desiderosi di recuperare la visione del cristianesimo come forza di trasformazione storica, fornirono al modello i suoi presupposti ideologici. Tra i più influenti ci furono John Wimber (1934-1997), leader della Vineyard Christian Fellowship, e Charles Peter Wagner (1930-2016). Quest'ultimo, con il suo bestseller The third wave, pubblicato nello stesso anno 1988, suggerì probabilmente a Barrett la nozione concettuale delle tre ondate progressive. Secondo Wagner, il mondo stava procedendo verso una nuova era dello Spirito, che avrebbe eliminato tutte le differenze denominazionali.
Le statistiche di Barrett erano esclusivamente descrittive, tuttavia furono viste da molti teologi e sociologi della religione come prova della forza del movimento pentecostale sulla cristianità e sulla società nel suo insieme. Ciò portò a un'inversione dell'equilibrio di potere tra le due narrative e, da allora, la 'narrativa del successo' prevalse sulla 'narrativa della marginalità'.
La nuova classificazione non fu esente da polemiche e diede luogo a un vivace dibattito tra i sostenitori di una visione più 'stretta' e quelli di una visione più 'ampia' del Pentecostalismo. Da una parte c'erano i conservatori, che non accettavano che chiese indipendenti, senza connessioni storiche con gli eventi di Azusa Street, fossero considerate chiese pentecostali. Il loro obiettivo era mantenere il controllo del movimento nelle mani delle grandi denominazioni pentecostali classiche, principalmente di origine statunitense. Dall'altra parte c'erano i progressisti, sostenitori di una posizione più aperta e inclusiva, interessati a diffondere una concezione meno dottrinale e più esperienziale della fede pentecostale. La persona che forse più contribuì all'affermazione di un Pentecostalismo inclusivo fu il teologo svizzero Walter Hollenweger (1927-2016). La sua opera principale, intitolata The Pentecostals: The Charismatic Movement in the Churches, fu pubblicata, nella versione inglese, nel 1972. Destinato a diventare la pietra angolare degli studi successivi sul Pentecostalismo, il libro di Hollenweger definiva il Pentecostalismo come un movimento 'curativo' per le persone marginalizzate e argomentava che la grande espansione che il movimento stava vivendo nei paesi poveri era dovuta tanto alla sua teologia di tipo spontaneo quanto alle sue peculiari modalità comunicative, particolarmente adatte, secondo il teologo, a favorire la comunicazione con lo Spirito di Dio. Hollenweger collegava direttamente la nascita e la diffusione del Pentecostalismo alle capacità espressive degli afroamericani discendenti dagli schiavi africani. In questo modo, dimostrava la sua vicinanza ideologica ai movimenti di liberazione nazionale dei paesi africani e asiatici degli anni Cinquanta e Sessanta, così come ai movimenti per la conquista dei diritti civili delle persone nere che ebbero luogo negli Stati Uniti durante gli anni Sessanta.
Oltre le narrative dicotomiche
Quali conclusioni possiamo trarre da queste brevi note?
La prima è che le statistiche sulla diffusione del Pentecostalismo non sono sufficienti, di per sé, per comprendere il movimento pentecostale nella sua complessità ed anzi possono rivelarsi ingannevoli. Pur rimanendo utili per comprendere l'entità dell'espansione raggiunta dal movimento, i numeri non rendono conto delle dinamiche storiche e ideologiche che interagiscono al suo interno. Con la loro pretesa di esaustività, i numeri finiscono per nascondere la complessità di un fenomeno che non si lascia ricondurre a categorie predefinite o classificare con etichette.
La seconda conclusione che possiamo trarre è che il movimento pentecostale, quando osservato attraverso le narrazioni contraddittorie che lo accompagnano, finisce per ridursi a metafore linguistiche, tramite le quali si crea l'illusione dell'esistenza di un 'Pentecostalismo del successo' contrapposto a un 'Pentecostalismo della marginalità'.
Sia la prima che la seconda conclusione ci mettono in guardia dal rischio di adottare visioni riduzioniste che, semplificando ingannevolmente la complessità del movimento, ne ostacolano la comprensione. Per evitare questo rischio, è necessario decostruire e contestualizzare sia le statistiche che le narrazioni, esplicitando i loro presupposti storici e ideologici. È questo senza dubbio il requisito indispensabile per avvicinarci alla comprensione del Pentecostalismo attuale rispettando la sua eterogeneità.